20 anni di indies a Sanremo: dalle polemiche al trionfo
Sanremo sì o Sanremo no? Questo è sempre stato il rompicapo per il mondo musicale “indie” italiano. La musica indie o “alternativa” si è sempre posta come una forma d’arte di produzione indipendente ed ha sempre cavalcato tendenze internazionali in anticipo rispetto all’andazzo mainstream che si evolve invece con lentezza. E allora alternativo italiano, che ci vai a fare a Sanremo? Visto le recenti edizioni, questo dilemma si è andato via via risolvendo. Se l’ambiente alternativo ha massacrato (anche pesantemente) Cristiano Godano e Manuel Agnelli, oggi gongola vantandosi del trionfo di Diodato. Le nuove generazioni “indie”, infatti, non solo ci vanno tranquillamente a Sanremo, ma stanno ottenendo anche ottimi risultati. A loro favore c’è il loro stile, nettamente più pop rispetto a quello degli old indies.
Era l’anno 2000 quando il grande Pavarotti lanciava sul palco dell’Ariston i Subsonica, presenti in gara direttamente tra i big e con il famoso brano Tutti i miei Sbagli. Arrivarono undicesimi su sedici. Fu una boccata di aria fresca per il Festival, che già con Fabio Fazio cominciava a “svecchiarsi”. Nello stesso anno si presentò tra le giovani proposte Moltheni con il brano Nutriente, felicemente penultimo.
Afterhours – Sanremo 2009
Patti Smith e Marlene Kuntz – Sanremo 2012
Ma è nel 2009, secondo me, che avviene l’impensabile: gli Afterhours, tra le band capostipite del nuovo rock italiano, salgono sul palco invitati da Paolo Bonolis. Le reazioni non furono tutte positive, portarono in gara Il Paese è reale, brano di testa e operazione di promozione di una compilation di band dell’underground, testimonianza appunto del Paese reale. Ricordiamo che in questa edizione vinse Marco Carta seguito da Povia e Sal da Vinci!
Questo sacrificio non fu vano, ma aprì le porte del Festival nel 2011 ai loro amici La Crus (ottima band d’autore, incredibilmente sempre fuori dai canali del grande pubblico) e, sopratutto, nel 2012 ai Marlene Kuntz, gemelli rock degli Aftehours, che portarono sul palco Canzone per un figlio, una classica ballata nel loro stile in cui l’intreccio di chitarre è ben sostituito da un intreccio di “fiati” arrangiati da Roy Paci. E non fu assolutamente presa bene questa loro presenza al Festival dai più intransigenti indie, nonostante il favoloso duetto con Patti Smith e la loro prevedibile eliminazione dalla finale.
Mauro Ermanno Giovanardi dei La Crus con Nina Zilli – Sanremo 2011 Motta e Nada – Premio miglior Duetto – Sanremo 2019
Le nuove generazioni indie, invece, sono più libere e fortunate. Forti della caratteristica più pop, si sono imposti sulla scena degli ultimi Festival. Ricordiamo bene, infatti, l’incredibile secondo posto de Lo Stato Sociale con il tormentone “Una vita in Vacanza” a Sanremo 2018. Nell’anno seguente furono Motta, Zen Circus, Ghemon, ex Otago e Manuel Agnelli con Daniele Silvestri a calcare il palco dell’Ariston.

Ma veniamo al Sanremo di quest’anno e all’incredibile trionfo di Diodato con il brano Fai rumore, cantautore che viene dritto dritto dall’attuale scena indie (non a caso il suo direttore di orchestra è stato Rodrigo D’Erasmo degli Afterhours). Il suo primo EP risale al 2007 ed uscì al Meeting delle Etichette Indipendenti. Ma è nel 2013 con E Forse sono pazzo che riceve i primi riscontri positivi e comincia a suonare nei club e nei circoli culturali del Paese. Nel frattempo si presenta in gara a Sanremo ben tre volte, nel 2014 come giovane proposta (secondo posto dietro a Rocco Hunt) e nei Sanremo 2018 e 2020 tra i big. Due anni fa lo abbiamo visto ospite di Ghemon con i Calibro 35 nella serata dei duetti. Ma non è l’unico “indie” di quest’anno: si sono piazzati terzi i Pinguini Tattici Nucleari con Ringo Starr e ci ha suonato anche Levante con il brano Tikibombom. In questa stessa edizione assistiamo anche al “sacrificio” dell’old indie Bugo (pezzo divertente, compagno da evitare) e della perfomance buca-schermo di nonno Piero Pelù, che dell’indie rock italiano può essere considerato tra i padri. Allora Sanremo è finalmente il tempio della musica nostrana? In realtà il caso Bugo-Morgan o della “vecchia che balla” con Lo Stato Sociale, per esempio, suggeriscono che per poter aver l’attenzione mediatica non serve solo fare una bella canzone ma occorre spesso fare scena o gossip.

Dottore magistrale in economia e management, assistente applicativo e fiscale aziendale, tantissimi concerti in giro per l’Europa sul groppone, co-fondatore di Nojarella e Indiepercui 103.