Dieci anni di Sonofmarketing: intervista a Nico Orlandino
Come si “legge” la musica oggi? Difficile rispondere. Se un tempo ci si affidava alle riviste più o meno specializzate (Il Mucchio Selvaggio, Rolling Stones, Il Maciste, Rumore), alle radio di nicchia o quasi (Controradio, Radio Popolare ma anche tanti bei programmi su Radio Rai) o alle tv musicali (AllMusic, VideoMusic, Mtv), oggi con l’avvento della banda larga e del proliferare di blog, siti e webzine online come si fa ad orientarsi? Noi ci proviamo a darvi una mano e abbiamo selezionato per voi SonOfMarketing – Unknown pleasures (www.sonofmarketing.com), una particolare ed interessante webzine musicale nata nelle nostre parti. Un modo di fare informazione musicale molto originale e particolare che sta incassando ottimi riscontri in Italia ma anche all’estero. Quest’anno, tra l’altro, festeggia i dieci anni di attività con un intenso programma di concerti, tra cui vi consigliamo il prossimo in programma: Mr Silla (voce dei Mum) al Mat Laboratorio Urbano di Terlizzi il 28 febbraio pv. Abbiamo fatto una chiacchierata con Nico Orlandino, fondatore della Webzine.
Come ti è venuto in mente di creare Sonofmarketing? Come mai la scelta di pubblicare contenuti in inglese?
Sonofmarketing ha una storia semplice. Avevo 24 anni e avevo appena finito l’università (indirizzo Marketing, da qui il nome sonofmarketing) e per un mese sono stato disoccupato. Quindi da una situazione non particolarmente brillante, ho cercato di vedere l’aspetto positivo che era quello di avere tanto tempo libero. Ascolto da sempre molta musica ma non avevo mai scritto nulla. Così un giorno, nel gennaio del 2010, ho aperto questo bruttissimo blog su Splinder. L’idea iniziale era quello proprio di valorizzare quella musica che di solito non ha molto spazio nei canali tradizionali, ecco perché la webzine si chiama Sonofmarketing – Unknown Music Pleasures (oltre ad essere un omaggio ai miei amati Joy Division). Questa idea ha raccolto il consenso di molte persone che non trovavano altri spazi per esprimersi e così col tempo sono saliti sul treno validissimi “soci” come Mario Esposito, Giacomo Cortese, Filippo Infante, Andrea Meli, Daniele Festoso, Fernando Rennis, Alessandro Miglietta e Marco Pettenati. Col tempo abbiamo acquisito anche una bella fetta di pubblico internazionale e nel 2015, leggendo le analisi dei dati statistici avevamo più lettori all’estero che in Italia. Così, anche per cambiamenti legati alle vite private, abbiamo deciso di modificare la struttura del sito e il tipo di narrazione, cambiando la lingua che diventava il passaggio chiave per arrivare a tutti e non chiuderci solo in un ambito nazionale che è stato un vestito che ci è stato sempre più stretto col passare degli anni. Questo ci ha permesso anche di far conoscere molti artisti e band italiane all’estero che è un aspetto un po’ delicato del nostro sistema, in quanto validissimi musicisti spesso hanno agenti e uffici stampa con una visione miope per quanto riguarda la internazionalizzazione delle carriere. Penso che da questo punto di vista, siamo riusciti a giocare un ruolo importante e a costruire qualcosa di buono. E spero potremo continuare a farlo per altri 50 anni.
L’avvento della banda larga ha stravolto il mondo musicale, le modalità di ascolto e sopratutto quella di informazione e ricerca. Si è certo creata molta dispersione e, paradossalmente, oggi è più difficile riuscire a farsi ascoltare per l’elevata offerta. Come può approcciarsi una rivista webzine oggi nel settore? Quali sono le riviste che più segui?

Come sempre, cerco di guardare sempre all’aspetto positivo delle cose. Il web è un gran luogo di dispersione ma è anche uno strumento importante perché è accessibile a tutti; e per quanto sia bello conoscere musica ai concerti o in un negozio di dischi o con le riviste stampate, il web ci permette di conoscere e ascoltare perle musicali a cui non saremmo mai potuti arrivare con un sistema di accessibilità diverso. Penso che il problema principale di chi fa divulgazione al momento è quello dell’individualismo da un lato (pensare più ai numeri o alla propria fama che al concetto stesso di divulgazione) e quello dell’identità. Costruire un racconto, una determinata narrazione significa avere un’identità che può essere fluida ma deve essere anche determinabile. Spesso vedo webzine che sono tutte uguali, che puntano tutte sull’hype e non sulla ricerca di un proprio stile. E infatti sono pochissime quelle che spiccano. Prendiamo come esempio le recensioni. Queste hanno senso se chi le scrive conosce la materia e soprattutto abbia una tale padronanza della lingua e un punto di vista che renda interessante la lettura. Spesso, per puntare ai numeri, si fanno scrivere recensioni a chiunque con un livello medio davvero imbarazzante. Il problema di questo è che si crea una bolla tale che anche la selezione di ciò che viene proposto va a creare entusiasmo intorno a progetti privi di qualsiasi velleità artistica. Cosa si vuole fare, cosa si vuole comunicare, costruire la propria credibilità attraverso l’identità è la chiave di una webzine che regge nel tempo e che abbia un ruolo fondamentale a livello di divulgazione e creazione di cultura. Penso a riviste come FACT Magazine, Fluid Radio, TheLineofBestFit, Portals, GorillavsBear, Stereogum, XLR8R, Daily Bandcamp, il magazine di KEXP che sono i portali che più mi hanno insegnato cosa significa avere un’identità. Fra quelle italiane un plauso speciale va a riviste online e blog come The New Noise, Triste, Sowhat e Distorsioni per la selezione delle proposte musicali. C’è Going Solo che è stato il primo blog italiano in lingua inglese e che ha ispirato la nostra scelta del cambio di lingua. Apprezzo molto a livello generalista, portali come Shiver e Sentireascoltare. Per quanto riguarda gli approfondimenti, L’Indiependente è la rivista che più offre spunti interessanti, con una finestra anche sul mondo della letteratura e del Cinema. Questi sono i portali online che leggo maggiormente ma sono legato anche riviste stampate come Rumore, Rockerilla e Blow Up dove scrivono alcune delle mie penne preferite.
Festeggiate i dieci anni con ben dieci concerti. Una scelta coraggiosa. Cosa manca al nostro territorio per un concreto sviluppo del settore musicale?
Era da molto tempo che volevo portare la nostra visione in una dimensione live, ma un’esperienza molto negativa del 2014 mi ha fatto tentennare. Poi, grazie alla connessione con luoghi come il MAT Laboratorio Urbano e il Kursaal Coworking, e la collaborazione di persone come Esmeralda Vascellari (Lady Sometimes Records), ho capito che l’idea si potesse realizzare. E sono molto contento per come sta andando. Abbiamo ospitato Josin, Bruno Bavota, Tim Kinsella, Grimm Grimm e continueremo con nomi come Mr. Silla e Matt Elliott. Non è facile portare un certo tipo di musica, fuori dalle logiche mainstream, dalle nostre parti per diversi motivi. Il primo risale a una situazione nazionale imbarazzante. Siamo il fanalino di coda dei booking internazionali. Quando vengono annunciati i tour di artisti internazionali (qualsiasi sia il loro livello di carriera), non troverete quasi mai l’Italia, salvo qualche eccezione. Qualche mese fa avevo mandato una mail per avere informazioni su una band irlandese e mi risposero che l’Italia, al momento non era nei loro programmi. Ci sarebbe da rivedere molto per quanto riguarda l’approccio di tutti (dai promoters a chi gestisce gli artisti) per rendere sostenibile questo mini-mondo. Tornando al nostro territorio e tornando alla domanda principale, penso che le mancanze pesanti siano due: una istituzionale e l’altra di network fra le realtà locali. Per quanto riguarda la prima, se ci pensiamo bene, nonostante la presenza di un ente come Puglia Sounds (su cui nutro molte perplessità sulla gestione di alcuni aspetti), non esiste nulla a livello progettuale che permetta a chi organizza concerti di poter espandere la loro proposta in modo continuativo. Spesso i fondi e i supporti sono destinati a festival o singoli eventi che si concentrano per la maggior parte in Valle D’Itria o nel Barese. E in questa maniera si penalizza chi tutto l’anno cerca di fare una proposta diversa. E tutto ciò diventa insostenibile perché i concerti e gli eventi culturali non si organizzano solo con la passione e la volontà. Citando una persona che stimo tantissimo, l’ideale sarebbe avere una somma annuale destinata ai vari posti che potrebbero ampliare l’offerta, produrre concerti a ingresso gratuito (o con un ticket d’ingresso accessibile) che incentiverebbe la diffusione della cultura alternative. Questo si collega al secondo fattore: la mancanza di network fra le realtà locali. Si delega la proposta alternativa a pochissimi festival (penso allo SPARKS) e pochi posti come il Kursaal o il MAT che da soli hanno il peso di offrire proposte meno ovvie. Mentre tutti gli altri luoghi di ritrovo culturale puntano generalmente a una proposta più accessibile che annienta la varietà della scena musicale attuale. Credo che uno sforzo fra tutti gli attori locali, collegati al mondo musica e che credono in un certa visione di essa, possa migliorare in modo esponenziale l’appetibilità del nostro territorio come contenitore culturale continuativo e non solo estivo.

Dottore magistrale in economia e management, assistente applicativo e fiscale aziendale, tantissimi concerti in giro per l’Europa sul groppone, co-fondatore di Nojarella e Indiepercui 103.