Grappoli di Luce: La mostra fotografica sull’Uva di Rutigliano fino al 2 novembre al Museo Archeologico
È il prodotto principe della terra rutiglianese, il motore economico e, come ricorda l’assessore Tonio Romito: “è anche cultura e storia”. L’Uva da Tavola di Rutigliano da oggi diventa anche una mostra fotografica.

Inaugurata nel tardo pomeriggio del 19 ottobre 2019, “Grappoli di Luce” è la mostra del fotografo Salvo D’Avila promossa dal GAL Sud Est Barese in seno al progetto «Tipica Food & Art» . Con l’intento di promuovere la cultura gastronomica, Tipica Food & Art ha portato esposizioni artistiche anche a Conversano e Mola di Bari dedicando gli appuntamenti artistici ai prodotti tipici dei paesi sud est baresi: rispettivamente la ciliegia e il pesce.

Sovvenzionato dalla Regione Puglia per il valore artistico-culturale, Tipica Food & Art e Grappoli di Luce sono stati possibili grazie al lavoro delle associazioni Etra e Volontari per la Cultura, con l’aiuto dello sponsor «Galleria Cattedrale» presso la quale verrà organizzata prossimamente una summa dei tre lavori GAL.
Grappoli di Luce
“Grappoli di Luce” di Salvo D’Avila riunisce nel Museo Civico Archeologico di Rutigliano una serie di scatti artistici in cui la musa “regina” è proprio l’uva rutiglianese. A scatti calligrafici (fotografia dal greco è “scrittura di luce”) si alternano concetti profondi. In particolar modo basti notare alcuni grappoli sospesi da un filo. La curatrice della mostra, Lia De Venere (critico d’arte e docente di Storia dell’Arte contemporanea presso l’Accademia di Belle Arti di Bari) spiega che l’usanza permetteva una migliore conservazione del prodotto gastronomico. Il paragone degli scatti di D’avila con le nature morte appare immediato, eppure non combaciante. La natura morta funge da memento mori, spiega il critico d’arte, ma lo stato di conservazione dell’uva, porta a percepire una sospensione temporale, una natura che non può morire e quindi immortalata dalla macchina fotografica.

La mostra «Grappoli di luce» sarà aperta al pubblico nel Museo Archeologico di Rutigliano fino al 2 Novembre, con ingresso libero dalle ore 17 alle ore 20.
Salvo D’Avila
SALVO D’AVILA (Brindisi, 1968). Vive e lavora a Roma. Salvo coltiva la passione di famiglia per le arti visive, specialmente per la pittura, avvalendosi della fotografia, le cui basi tecniche consolida presso la Scuola Romana di Fotografia. I generi nei quali principalmente si cimenta sono il ritratto e la natura morta. Ha tenuto mostre personali in Italia presso gallerie private e istituzioni pubbliche: Galleria Le Muse, Andria (2014) – Borgo San Marco, Fasano (2017 e 2018) – Biblioteca Storica Nazionale dell’Agricoltura, Ministero delle Politiche Agricole, Roma – Ex Convento di San Francesco della Scarpa, Polo Museale della Puglia, Bari – Museo Diocesano, Velletri (2018) e all’estero presso gli Istituti Italiani di Cultura di Stoccarda (2015), Amburgo (2016) e Lisbona (2017).(info@salvodavila.com)
Così scrive delle opere in mostra la curatrice:

Salvo D’Avila fotografa frutti, ortaggi, fiori riuniti in spazi ristretti, estraendoli dal buio con un fascio di luce o immergendoli in una luminosità abbagliante. A ispirarlo gli esiti più significativi della storia della natura morta, da cui mantiene tuttavia la necessaria distanza, pur dichiarando nei titoli il proprio debito nei confronti dei maestri del passato. Ad accomunare i suoi scatti nessun gratuito virtuosismo, ma una palese sobrietà formale, una ricercata chiarezza compositiva, un’attenzione assidua al dettaglio, che conferiscono alle immagini forte incisività. Tra le opere in mostra, in cui è sempre presente l’uva, alcune rendono omaggio a Juan Sanchez Cotán (1560-1627), il pittore spagnolo autore di originali nature morte, in cui ortaggi, frutti, selvaggina e altri alimenti sono sospesi all’interno di nicchie con l’ausilio di fili di spago. Se le foglie accartocciate sembrano alludere al trascorrere ineluttabile del tempo, alla caducità dell’esistenza umana, come nella vanitas, quel tipo di natura morta diffuso nel secolo XVII, che ricordava attraverso l’allegoria la precarietà di ogni cosa terrena, è certo invece che alle composizioni di D’Avila manca qualsiasi intenzione moralistica. Affabili e insieme dense di significato, le sue nature morte in realtà si fanno emblemi della vitalità della natura, del suo continuo rigenerarsi. In ciò, non solo ricollegandosi al termine stilleven (vita ferma), con cui in Olanda a metà del XVII secolo si definirono le composizioni con soggetti inanimati, ma anche facendo tacito riferimento alla capacità della fotografia di catturare l’attimo e di conferirgli lo stigma della durata.
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