The land of the rising sun: Essere stranieri in Giappone
The land of the rising sun – di Fedele Tagarelli
Nel lontano 607 DC, il principe Shotoku, reggente del regno giapponese, scrive nella corrispondenza con il regnante cinese “Dal regnante della terra del sol levante al regnante della terra del sole ponente (decadente)“. Il principe Shotoku, in realtà grande simpatizzante della cultura e del regno cinese, mai avrebbe immaginato che sarebbe stata quella lettera a segnare per sempre il Giappone. Ancora 1400 anni dopo i bambini Giapponesi, inconsciamente influenzati da quelle parole, disegnano nel cielo un sole color rosso, proprio come il sole albeggiante sull’oceano Pacifico.

Il Giappone è una terra di profonda cultura, e dove arte, filosofia e religione spesso si dissolvono in sentimenti non concretizzabili in parole. La cultura giapponese sia misteriosa sia ricca, è difficile da assaporare e ancor di più comprendere. La società viene definita dagli esperti come “high context society” (letteralmente, società ad alto contesto), in questo tipo di società la comunicazione quotidiana è principalmente indiretta, ed è sempre regolata dalle norme sociali fondate sul rispetto del prossimo, anche nei più intimi degli ambienti.
Mai dare del “TU”
Per dare alcuni esempi, raramente in linguaggio colloquiale ci si riferisce all’interlocutore con il termine corrispondente per “tu”, ma si preferisce riferirlo con il suo nome di famiglia, come ad usare questa sorte di indefinizione del destinatario di queste parole da capro espiatorio. All’interno della famiglia, ci si riferisce agli altri componenti menzionando il loro ruolo all’interno della casa.
Altri modi per dire di “NO”
Un altro esempio è nella loro concezione di no, infatti di fronte ad una richiesta non concretizzabile, un giapponese non risponderà mai ad essa con un “no” in caso negativo, ma sarà più probabile che dica “è difficile“, in modo tale da evitare di urtare la sensibilità dell’interlocutore.

Ci sono altre innumerevoli differenze culturali, che possono creare incomprensioni in entrambi i lati, ma per ragioni di sintesi si evita di elencarle tutte.
In un mondo dove odio raziale, e diffidenza verso il diverso sono fenomeni all’ordine del giorno, mi sembra doveroso cercare di capire da dove essi possano esser generati, fomentati. Ancora una volta questo articolo espone un punto di vista su un argomento molto complicato. Non escludo il caso che questo punto di vista possa essere a tratti soggettivo o addirittura errato, se mai si possa concepire un punto di vista come errato.
L’odio sembra esser generato molto spesso, in situazioni di difficile comprensione all’uomo. Il non capire le motivazioni e i sentimenti dietro una determinata azione, sembrano fomentare l’odio di un individuo verso il prossimo, e il proprio istinto di autodifesa porta quest’odio ad esser generalizzato ad una più amplia platea.
Essere stranieri in Giappone
Il Giappone è una nazione che conta 120milioni di abitanti, circa il doppio dell’Italia, ma conta circa 2,4 milioni di stranieri residenti circa la metà dei 5 milioni di residenti stranieri in Italia.
A primo acchito il Giappone non sembra una nazione molto aperta agli stranieri, seppur molto cordiale verso i turisti. Infatti a causa della forte identità culturale, i confini geopolitici ben delineati e la barriera linguistica (tre forti fattori influenzanti), il Giappone non è una nazione in cui è facile risiedere per più di un anno. É però importante dire che, dato le speciali situazioni politico sociali del paese, le cose stanno cambiando, infatti il Giappone è prossimo ad una straordinaria apertura delle politiche d’immigrazione a fronte della forte carenza di forza lavoro che si perpetra.

Qual è il motivo di un binomio così forte ma contrastante nella cultura giapponese? Tante sono le persone che possono testimoniare come i Giapponesi siano pronti ad aiutare nelle situazioni più comuni e quotidiane, e di come la loro gentilezza, cordialità e rispetto siano straordinarie rispetto a qualsiasi altra cultura. Altrettante persone che risiedono in Giappone da più di due anni, anche padroneggiando la complicata lingua come un madrelingua, possono testimoniare di come non la si smetta mai di essere un “gaijin” (外人, letteralmente straniero), e di come sia difficile in realtà completamente integrarsi nella società giapponese.
L’incomprensione e la barriera linguistica
Sicuramente le ovvie differenze fisionomiche giocano qui un ruolo chiave, capita a volte di vedersi rifiutati da un ristorante con la semplice scusa “stiamo chiudendo“, anche se nel pieno della giornata lavorativa. Questo capita spesso in posti dove il ristoratore non ha un menù in inglese e preferisce servire Giapponesi solo per non avere a che fare con la barriera linguistica, non si tratta di razzismo. Analizzando più in dettaglio la situazione infatti, sembra che l’unico possibile evento che abbia potuto portare il ristoratore a questa determinata scelta sia un’incomprensione con un cliente straniero. L’incomprensione sembra nascere in molti casi soprattutto quando una barriera linguistica è presente, quando non si riesce ad avere uno scambio effettivo di idee, ma ci si sofferma più sulla punta dell’iceberg.
Spero il lettore mi perdoni l’ennesimo esempio al riguardo.
Infine, la superficialità fomenta incomprensioni e luoghi comuni che sembrano danneggiare sia il turista che il ristoratore, determinando così un fallimento sociale. Ennesimo fallimento sociale è quello dei social media, che non fanno altro che promuovere ideali basati sulla superficialità delle persone, con conseguente svuotamento delle personalità e delle idee delle stesse.
Invito dunque il lettore al soffermarsi sulla natura dell’incomprensione, come diversa visione di un evento o argomento dovuta da due diversi punti di vista. Inoltre sull’effettiva funzione dei social media nella propria vita quotidiana.
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